Sentiamo spesso affermare, soprattutto dagli stranieri, che l’italiano sia caratterizzato da una intrinseca musicalità che lo rende una lingua meravigliosamente piacevole da ascoltare.

Maria Callas

Maria Callas

In molti sostengono che la nostra lingua suoni quasi come un canto e risulti amabile e dolce.
Si tratta, naturalmente, di giudizi che sfociano spesso nel gusto personale e che sono molto difficili da valutare su basi obiettive.

In effetti i giudizi sull’italiano nella storia della cultura europea e straniera sono moltissimi e se ne perde il conto: pensiamo ad esempio che il primo giudizio pervenutoci sulla nostra lingua madre risale al 1388 ed è inglese, nel prologo alla seconda edizione della bibbia di Wycliffe.

Bisogna considerare che già nel periodo pre-rinascimentale l’italiano era lingua di cultura europea e che proprio in questo periodo fiorivano i grandi umanisti e letterati che hanno contribuito alla definitiva affermazione dell’italiano dal latino.

L’apprezzamento dell’italiano come lingua nobile avvenne peró solo nel XVII. Per l’inglese James Howell, l’italiano è «la lingua meglio atteggiata in termini di fluenza e morbidezza. Voltaire invece parlava della “bella lingua italiana figlia primogenita del latino”.

I resconti di viaggio in Italia che la nobiltà nordeuropea e mitteleuropea compiva durante il periodo del cosiddetto grand tour sono il momento di apice della glorificazione dell’italiano come lingua nobile e musicale.

Quali ragioni sottendono tali giudizi?

Si potrebbe iniziare prendendo a prestito l’opinione di uno dei piú grandi umanisti italiani, Piero Bembo, che sosteneva nel 1525 che “due parti sono quelle che fanno bella ogni scrittura, la gravità e la piacevolezza; e le cose poi che empiono e compiono queste due parti, son tre: il suono, il numero, la variazione”. Da questo punto di vista, l’italiano presenta caratteristiche uniche.

La gravità è principalmente data dalla quantità di sillabe e dalla caratteristiche di ognuna nella costruzione della parola, cioè la loro lunghezza nella pronuncia. La modulazione delle sillabe in italiano è molto interessante perchè certe parole, se prese singolarmente, mostrano una pronuncia sillabica distinta da quella che si ottiene se le si contestualizza in una frase: questo per una necessità di pronuncia.

In effetti una delle ragioni principali per cui ció avviene è il fatto che la quasi totalità delle parole italiane termina con una vocale.

Ma c’è un’altra caratteristica, quasi unica, che la distingue fra molte altre lingue: l’italiano ha il prezioso vantaggio dell’uso delle doppie consonanti. La danza intrinseca, la musicalità che spesso viene additato alla nostra lingua è probabilmente da attribuirsi a questa particolarità che produce delle modifiche molto interessanti alle vocali che precedono. Pensiamo alla parola “pena”: la prima vocale ha una durata regolare ed equiparabile alla seconda mentre la “n” è appena percettibile, quasi solo un appoggio della lingua. Nella parola “penna”, invece, la “e” subisce una brusca contrazione e la doppia consonante risulta ricca, sonora, evidente: pura ritmica.

La pratica di determinate scelte fonetiche e poetiche, come l’elisione – ovvero l’eliminazione di una lettera da una poarola – contribuisce fortemente a modificare la durata delle sillabe e a creare un’alternativa al ritmo monotono di una ripetizione costante di sillabe simili.

Questo perchè l’elisione crea lo stesso effetto della doppia consonante, laddove essa non possa essere usata. Un esempio è dato dal famosissimo verso conclusivo de L’infinito di Leopardi: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”. In neretto le elisioni, che creano una pausa ritmica molto forte che si ripercuote sulle sillabe precedenti.

Certamente la presenza della doppia consonante non è l’unica caratteristica che rende la nostra lingua cosí musicale e cantabile. Nella poesia, infatti, abbondano gli esempi di soluzioni fonetiche e figure retoriche atte a modificare il ritmo e la cadenza del discorso.

Tuttavia è proprio la doppia consonante, cosí frequente nel linguaggio ordinario, ad affascinare tanto l’ascoltatore straniero e a trasmettergli questa dolce sensazione di danza ritmica propria dell’italiano.